Il famoso chef Alessandro Borghese racconta la sua incredibile esperienza a bordo dell’Achille Lauro, quando la nave affondò nel 1994.
Immagina di essere giovane, appena diciottenne, in una delle esperienze più avventurose della tua vita. Immagina il sole che si riflette sull’acqua, l’aria salmastra che riempie i polmoni e un senso di libertà che ti avvolge. Poi, all’improvviso, qualcosa cambia. Qualcosa di imprevisto, di drammatico, capace di trasformare quell’avventura in una lotta per la sopravvivenza. Alessandro Borghese, famoso oggi per la sua arte culinaria e le sue battute, ha vissuto proprio questo. Nel 1994, a bordo dell’Achille Lauro, si trovò faccia a faccia con un destino che avrebbe potuto essere molto diverso da quello che conosciamo oggi.
Era il 30 novembre 1994. La nave Achille Lauro stava navigando al largo delle coste della Somalia, quando un’esplosione nei motori provocò un incendio che la condusse all’affondamento. Alessandro Borghese, allora diciottenne, si trovava lì, parte dell’equipaggio. Nessuno avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe successo, e ancor meno come si sarebbe svolta la fuga da una nave in fiamme.
Durante una sua apparizione a Da noi… A ruota libera su Rai 1, Borghese ha raccontato quella drammatica esperienza. Con la sua solita ironia, ma con una nota di emozione che non passa inosservata, ha ricordato quei momenti. “Rivedere quelle immagini dopo tutti questi anni”, ha detto, “è come rivivere un pezzo di vita che non dimenticherò mai”. Quelle immagini sono indelebili nella sua mente, come lo sono nella storia.
Tre giorni su una zattera, insieme ad altre persone, con il mare a fare da unico orizzonte. Per Alessandro, quell’esperienza non fu solo fisicamente impegnativa, ma anche emotivamente difficile. “Sono stati tre giorni duri, ma lo spirito di cameratismo ci ha aiutato a resistere”, ha spiegato. La sua forza e il suo coraggio furono messe a dura prova, ma la sua capacità di adattarsi alla situazione lo aiutò a superare quel momento.
Fu una petroliera greca, la Hawaiian King, a trarli in salvo, portandoli fino a Mombasa, in Kenya. Per molti, un’esperienza del genere avrebbe lasciato cicatrici profonde. Ma per Borghese, fu solo un ulteriore capitolo della sua vita, una prova da affrontare e superare. “È come quando cadi da cavallo”, ha detto. “Devi risalire subito”. E così fece, ripartendo quasi subito per un’altra crociera.
Ma c’è un aspetto di questa vicenda che tocca ancora più da vicino la vita personale di Borghese: la sua famiglia. Barbara Bouchet, attrice e modella, e madre di Alessandro, apprese della tragedia in modo piuttosto inusuale. “Si sveglia la mattina, accende la televisione e vede le immagini della mia nave in fiamme”, ha raccontato Borghese. Il telegiornale tranquillizzava, dicendo che non c’erano vittime italiane. Peccato che Alessandro fosse a bordo con un passaporto statunitense. Per tre giorni, Bouchet rimase all’oscuro di cosa fosse accaduto esattamente al figlio, finché, finalmente, riuscì a sentirlo e a sapere che stava bene. Il sollievo fu grande, ma il trauma di quei giorni rimase, non solo per Alessandro, ma anche per chi gli voleva bene.
L’incidente dell’Achille Lauro fu causato dall’esplosione di alcuni motori a poppa, che generarono un vasto incendio e una falla nello scafo. Un disastro che nessuno poteva fermare, ma che fortunatamente non costò la vita al giovane Borghese e a molti altri. Come si sopravvive a tre giorni in mezzo al mare su una piccola zattera? Borghese lo racconta con il suo solito stile: “Con un desalinizzatore e razioni K, anche se non buone come la mia cacio e pepe”, dice, scherzando ma anche evidenziando la difficoltà di quei giorni.
Oggi, quell’esperienza è solo un ricordo lontano, una storia da raccontare, quasi surreale. Ma per chi l’ha vissuta, quei giorni sono stati una prova di forza, di resistenza e di speranza. Borghese ci ricorda che, anche nei momenti più difficili, la determinazione e il coraggio possono fare la differenza.
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