Attento a come parli sul luogo di lavoro, le nuove regole per ingiuria e diffamazione mettono paura

Conosciamo le regole che stabiliscono cosa si può dire sul luogo di lavoro. Non solo mobbing del datore di lavoro, anche il dipendente rischia grosso.

La Cassazione ha definito con esattezza quando critiche e parole sbagliate possono comportare il licenziamento del dipendente. Bisogna fare attenzione perché i diritti dei lavoratori si muovono su un filo sottile.

Donna con fumetti
Attento a come parli sul luogo di lavoro, le nuove regole per ingiuria e diffamazione mettono paura (Ketumbar.it)

Il luogo di lavoro è disciplinato da una serie di norme a tutela del dipendente. Il lavoratore è considerato dalla legislazione la parte debole in un rapporto di lavoro e, di conseguenza, i suoi diritti sono definiti nei dettagli. Ciò non significa, però, dimenticare i doveri fissati dalla Legge. Se tra i diritti troviamo la retribuzione, un orario di lavoro fisso, il riposo settimanale, le ferie, il congedo parentale, la sicurezza sul lavoro e così via, tra i doveri segnaliamo la diligenza ossia l’accuratezza e l’impegno da mettere nel ricoprire il ruolo e nello svolgimento della prestazione, l’obbedienza alle disposizioni per eseguire correttamente il lavoro e la fedeltà nel tutelare gli affari dell’azienda.

Obbedienza e fedeltà non significa accettare tutto ciò che il datore impone e subire comportamenti che minacciano la salute fisica e mentale. La normativa punisce il mobbing sul luogo di lavoro con condanne in base al reato commesso. Pena detentiva in caso di lesioni personali, reclusione fino ad un anno per minacce, multa per molestie sono alcuni classici esempi. Anche il dipendente, però, deve stare attento a comportamenti e parole.

Cosa rischia il dipendente che non tiene a freno la lingua

“Quanno ce vò ce vò” è un’espressione de core diventata una poesia di Trilussa. A volte si sente la necessita si reagire in un determinato modo che a prima vista può apparire estremo ma che spulciando bene si scopre arrivare dopo aver mantenuto a lungo (con sofferenza) la calma. Sul posto di lavoro, però, dire tutto quello che si pensa al datore di lavoro può rivelarsi un errore fatale. Secondo la Cassazione alcune critiche e parole forti legittimano il licenziamento del dipendente.

Scatolone e martelletto giudice
Cosa rischia il dipendente che non tiene a freno la lingua (Ketumbar.it)

Poter esprimere liberamente un’idea è un diritto ma c’è un sottile filo che separa la liberà di espressione dalla diffamazione e dall’ingiuria che costerebbero il posto. L’articolo 21 della Costituzione garantisce il diritto alla critica da parte del dipendente. Allo stesso modo l’articolo 10 della CEDU sottolinea come ogni persona abbia il diritto alla libertà di espressione inclusa la libertà di opinione e di ricevere o comunicare informazioni o idee senza generare ingerenza da parte delle Autorità pubbliche. L’articolo 1 dello Statuto dei Lavoratori, infine, afferma che i lavoratori sul luogo di lavoro possono manifestare liberamente il proprio pensiero rispettando i principi della Costituzione e delle norme dello Statuto.

A queste direttive si aggiunge, però, il pensiero della Cassazione. Il diritto alla critica – secondo la Suprema Corte – è legittimo se esercitato nel rispetto della continenza formale e sostanziale. Cosa significa? I fatti narrati dal dipendente dovranno sempre rispondere al criterio di veridicità e mai si dovranno superare i parametri di correttezza, decoro e pertinenza espressiva. La critica dovrà rispendere ad un interesse meritevole e mai ledere l’immagine del datore di lavoro altrimenti il licenziamento sarà legittimo. Verità, pertinenza e continenza, queste le tre parole chiave da tenere a mente volendo esprimere una critica al datore di lavoro.

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