Olio d’oliva, scopri i fattori che determinano la sua scadenza e come conservarlo correttamente per mantenere intatti i suoi benefici.
L’olio extra vergine di oliva è uno dei protagonisti della cucina italiana e un simbolo della dieta mediterranea, apprezzato per le sue proprietà benefiche e il suo sapore unico. Tuttavia, una domanda che molti consumatori si pongono riguarda la sua scadenza: “Ma l’olio extra vergine di oliva scade?”. Avendo l’olio d’oliva una struttura complessa, la risposta a questa domanda è altrettanto complessa.
Nel passato, la legge imponeva che l’olio extravergine fosse consumato entro 18 mesi dall’imbottigliamento. Tuttavia, dal 2016, la normativa è cambiata e ora spetta al produttore decidere la data di consumo, che viene indicata con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro…”. Ma anche facendo questa considerazione, non è facile arrivare a una risposta definitiva.
Quanti anni si può tenere l’olio?
L’olio di oliva non scade come un comune alimento, ad esempio il latte e, sebbene perda le sue proprietà organolettiche nel tempo, può essere consumato anche dopo la data di scadenza senza danneggiare la salute. In ogni caso, va tenuto ben presente che è consigliabile consumarlo entro 12-18 mesi dalla produzione, poiché la sua qualità diminuisce con il tempo.
Sulle bottiglie – come abbiamo detto – si trova la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro”, ma questa non è una vera e propria data di scadenza. La durata dell’olio dipende dalla quantità di polifenoli presenti: più polifenoli contiene, più l’olio resiste nel tempo, mantenendo il suo gusto e odore. Un olio ricco di polifenoli può durare fino a 2 anni, mentre uno con meno polifenoli si conserva solo per circa 12 mesi.
Un tipo di olio che richiede particolare attenzione è l’olio non filtrato. Questo olio contiene piccole particelle di oliva e di acqua, che non sono eliminate durante il processo di filtrazione. A causa di queste impurità, l’olio non filtrato tende a deteriorarsi più velocemente rispetto a quello filtrato.
Cosa succede se l’olio è scaduto?
Quando parliamo di olio scaduto, dunque, dobbiamo fare riferimento a un olio “invecchiato” e che per questo ha perso le sue proprietà organolettiche. Non staremo male usandolo come condimento, ma stiamo certi che non ci farà nemmeno bene. Per capire se un olio extra vergine di oliva è scaduto, la prova più semplice è quella olfattiva.
Annusando l’olio, se questo ha un aroma rancido o sgradevole, è segno che ha subito un processo di ossidazione e comunque faremmo bene a non consumarlo. Un olio che ha mantenuto la sua freschezza, invece, avrà un profumo fruttato e intenso, con un retrogusto amaro e piccante, tipico degli oli freschi. Se l’olio è rancido, non solo il suo sapore è compromesso, ma anche i polifenoli, sostanze benefiche per la salute, sono ridotti.
Quando l’olio è da buttare e come capire se è ancora buono
Per garantire che l’olio extra vergine di oliva mantenga tutte le sue proprietà e non si deteriori prematuramente, è fondamentale conservarlo correttamente. La conservazione ideale prevede che l’olio venga riposto in un luogo fresco e asciutto, lontano da fonti di calore e dalla luce solare diretta. La luce, infatti, può alterare le caratteristiche organolettiche dell’olio, rendendolo più suscettibile all’ossidazione.
Le bottiglie di olio dovrebbero essere di colore scuro, per proteggere il prodotto dalla luce, e dotate di una chiusura ermetica, per evitare che l’ossigeno entri a contatto con l’olio e ne acceleri il processo di deterioramento. La temperatura ideale di conservazione va dai 10° ai 18°, evitando quindi sia il caldo eccessivo che il freddo.
I segnali che l’olio non è più buono sono dunque diversi: cambiamento di colore, la presenza di sedimenti, bolle d’aria, odore sgradevole e sapore amaro. Oltre all’olfatto, anche la valutazione visiva è importante e infatti un bicchiere d’olio ancora buono, messo alla luce, ci risulterà essere ancora denso e poco liquido. Non fidatevi, infine, dei falsi miti sull’olio nuovo, dei quali vi abbiamo parlato in precedenza.