Quante certezze abbiamo sui semi di zucca? Tutti li mangiano ma in pochi riflettono sulla loro provenienza: Cina, Bulgaria o Italia?
Prestare attenzione alle informazioni riportate sulle confezioni dei prodotti aiuta ad essere certi della qualità dei cibi che si stanno portando in tavola. Quando nascono dei dubbi o delle criticità riguardo l’origine di qualcosa che si vuole mangiare o si sta mangiando, indagare è diritto del consumatore. Tutti devono avere la possibilità di scegliere i prodotti provenienti da dove si desidera, pertanto i dati sulla fabbricazione e le modalità di produzione del prodotto dovrebbero sempre essere chiaramente riportate.
La maggior parte dei consumatori clienti dei supermercati italiani ricercano il prodotto made in Italy o, addirittura, biologico. Talvolta, però, ci si ritrova ad affidarsi a confezioni dai nomi puramente italiani che evocano terre e produzioni nel Bel Paese per poi scoprire che il prodotto proviene dalla Cina o dalla Bulgaria, come nel caso di alcuni semi di zucca. I clienti si stanno interrogando su come sia possibile che non vi siano leggi a vietare le denominazioni ingannevoli che spingono i consumatori in direzione dell’acquisto, convinti di star comprando un prodotto italiano.
Semi di zucca, da dove arrivano?
E’ innegabile che fare la spesa sia diventato un momento in cui prestare massima attenzione a ciò che si seleziona. Sempre più spesso ci troviamo vittime di strategie di marketing che portano a credere ad una provenienza rispetto ad un’altra. Addirittura, è il caso di specificare che non sempre vi è l’obbligo di riportare sulla confezione i dati dell’origine del prodotto: nel caso del brand dei semi di zucca “Colfiorito“, ad esempio, l’informazione della provenienza dalla Cina è volontaria e supplementare, aggiunta dal produttore e non una necessità imposta dalla normativa. Questo può creare confusione, soprattutto quando un marchio o un nome richiamano suggestioni locali che non sempre corrispondono alla realtà.
La legislazione è chiara, ma non sempre intuitiva per il consumatore. Quando leggiamo l’origine su un’etichetta, è fondamentale distinguere tra il luogo in cui il prodotto è stato confezionato e quello in cui è stato realmente coltivato o prodotto (vedi anche la provenienza della carne della Lild). Prendiamo il caso dei semi biologici: la dicitura “non UE” si riferisce all’origine della coltivazione, mentre la Bulgaria è semplicemente il luogo in cui il prodotto è stato confezionato. Sono informazioni corrette, ma non sempre trasparenti per chi cerca di fare scelte consapevoli.
Le regole cambiano, ma la trasparenza resta una sfida
Uno degli aspetti che più preoccupano chi sceglie prodotti locali è la sicurezza. La preferenza per alimenti italiani o europei è spesso dettata dal timore che i prodotti provenienti da Paesi terzi non rispettino gli stessi standard rigorosi. Negli ultimi anni, il Parlamento Europeo ha preso posizioni nette, bloccando l’autorizzazione di residui di pesticidi vietati nell’Unione Europea nei prodotti importati. Questo significa che, almeno dal punto di vista normativo, si cerca di garantire condizioni di parità e tutela per il consumatore.
È bene ricordare che ogni prodotto che entra nell’Unione Europea deve superare controlli severi. Ma è sufficiente? Molti si chiedono se le regole siano applicate con la stessa rigidità nei Paesi terzi e se le autorità competenti riescano davvero a garantire standard paragonabili a quelli europei.
Quando si parla di prodotti biologici, le regole sono ancora più chiare. Ogni etichetta deve specificare l’origine degli ingredienti, distinguendo tra coltivazioni italiane, europee o miste. È una forma di chiarezza che rassicura, ma non elimina del tutto le perplessità. I prodotti extra-UE, infatti, sono soggetti a controlli sia da parte di autorità locali nei Paesi di origine, sia da organismi accreditati dall’Unione Europea.