Stiamo per vedere avviata la produzione dei vini dealcolati, eppure già diversi fattori entrano in gioco e costituiscono una minaccia alla loro sopravvivenza.
Il decreto Accise proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze potrebbe significare l’avvio di una nuova produzione italiana, quella dei “vini dealcolati“, vale a dire con un ridotto contenuto di etanolo (tasso inferiore a 0,5%). Secondo la normativa vigente, tutti i produttori di vino possono ridurre il titolo alcolometrico purché operino in regime di deposito fiscale e l’alcol etilico ottenuto sarà sottoposto a tassazione.
Questo provvedimento non ha riscontrato il favore del segretario generale di Unione italiana vini (Uiv) Paolo Castelletti, il quale ha espresso i suoi timori a riguardo, asserendo che porterà la filiera italiana a finire già sul nascere, a causa dell’imposizione di limiti produttivi e un carico burocratico alle cantine importante a tal punto da scoraggiare ogni sorta d’investimento.
Con il decreto Accise si punta all’avvio della produzione made in Italy del vino dealcolato, previa autorizzazione dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. L’articolo 33-ter dichiara che possono essere autorizzati a ridurre il titolo alcolometrico tutti i produttori di vino che operano in regime di deposito fiscale e l’alcol che sarà ottenuto, raccolto all’interno di un recipiente sigillato dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli verrà sottoposto ad accisa. Quest’ultimo dettaglio è stato già oggetto di grande discussione e non ha mancato di destare molta preoccupazione nel settore del vino italiano.
Facciamo innanzitutto chiarezza su cosa sia il vino dealcolato (o “dealcolizzato”). In Italia un prodotto può essere definito “vino” se contiene un titolo alcolometrico di almeno 8,5 gradi: questo è quanto previsto dal Testo Unico del Vino, aggiornato al 2016. Per tutte le versioni con un tasso alcolometrico più basso (fino a 0,5% come valore minimo), si parla di vini “parzialmente dealcolizzati”. Qualora il livello d’alcol fosse ancora più contenuto o addirittura nullo, consideriamo il vino come “dealcolato” (secondo il Regolamento UE 2021/2117).
Per ottenere un vino dealcolato, si parte da un vino con tasso alcolometrico tradizionale, il quale viene sottoposto a metodi per togliere l’alcol, come la distillazione sotto vuoto e l’osmosi inversa. Il prodotto che se ne ottiene non va confuso con le bevande fermentate che imitano il sapore del vino, in quanto ottenute partendo da materie prime completamente differenti. Nel caso del vino dealcolato, la gradazione alcolica resta presente seppur minima, a causa della fermentazione degli zuccheri. Il suo consumo è già ampiamente avviato in Paesi quali Spagna, Germania e Francia.
Dal punto di vista del sapore, non si riscontrano grandi differenze con il vino reale, seppur c’è da ammettere che possono influire sia il processo produttivo quanto la percezione sensoriale del soggetto che lo beve. Per evitare l’alterazione del gusto, c’è il rischio che i produttori vengano indotti all’utilizzo di zuccheri e aromi artificiali, stabilizzanti o altri additivi che alla fine si rivelerebbero essere dannosi per la salute. Prima di bere un vino dealcolato, infatti, è bene leggere con attenzione l’etichetta e ricordarsi che nonostante l’assenza di etanolo, è consigliato non abusarne.
Il vino dealcolato può rappresentare una valida alternativa alle bevande analcoliche, considerando anche che la componente fenolica, ossia l’insieme di sostanze associate a benefici per la salute, viene mantenuta. Se ne perde, invece, la composizione volatile che conferisce il tradizionale aroma e la palatabilità del vino.
Resta comunque in sospeso la questione della produzione in Italia di questo tipo di prodotto. Il carico burocratico a cui è sottoposto scoraggia sul nascere i produttori, a tal punto che la filiera rischia lo stop prima ancora di prendere il via.
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